Ecco come scegliamo dove investire: Paolo Munari

Dopo una carriera di oltre vent’anni ai vertici di multinazionali americane e anglosassoni, Paolo Munari ha scelto di cambiare prospettiva. Oggi è un investitore indipendente, con un approccio selettivo e concreto. Da un paio d’anni ha lasciato la città e lavora da remoto, immerso nella quiete di un casale nelle Marche, dove ha riscoperto il valore del tempo e della concentrazione. “Il mio è un percorso iniziato nel mondo corporate, ma che negli ultimi anni ha preso una direzione più personale”, racconta. “Dopo tanti anni passati in contesti strutturati e ad alta pressione, ho sentito il bisogno di dedicarmi a progetti imprenditoriali più coerenti con i miei valori. Lavorare da remoto, lontano dai grandi centri, mi ha permesso di cambiare ritmo e, soprattutto, di riflettere con maggiore lucidità su dove e con chi investire”.
Quali sono i criteri principali che guidano le sue decisioni di investimento, oltre al potenziale di ritorno economico?
“Per me, tutto parte dalla persona. Quando valuto un investimento, non guardo solo il business plan o il mercato di riferimento: mi concentro prima di tutto sull’imprenditore, sulla sua storia, sul suo modo di pensare. Voglio capire chi ho di fronte, se ha la visione, la determinazione e anche l’umiltà necessarie per far crescere un progetto nel tempo”.
Munari è schietto nel sottolineare la sua distanza da logiche speculative o opportunistiche: “Non mi interessano le mode. Oggi tutti parlano di intelligenza artificiale, ma non è detto che ogni progetto in quel campo sia valido. Il mio focus è sulla differenziazione: voglio capire cosa rende unica quell’azienda. Perché dovrebbe sopravvivere tra cento altre simili? Se questa risposta non è chiara, non investo”.
Ci sono settori che oggi considera particolarmente interessanti?
“Uno su cui sto ragionando è la chirurgia estetica. È un mercato in crescita, con domanda stabile e in evoluzione, soprattutto se approcciato con una logica di qualità e innovazione. Ma non è l’unico. Un ambito che trovo ancora sottovalutato è quello dei servizi e dei prodotti per gli over 50, in particolare in Italia, dove questa fascia di popolazione è in aumento ma ancora poco servita con proposte mirate”. Munari parla anche di alimentazione e benessere: “C’è molto potenziale nel food funzionale, pensato per chi vuole prendersi cura della propria salute in modo consapevole. E non dimenticherei la training, soprattutto quella di alto livello. L’università italiana ha bisogno di modelli nuovi, capaci di connettere studenti e mondo del lavoro. Lì ci sono opportunità interessanti, se affrontate con una logica di impatto e di lungo periodo”.
A proposito di lungo periodo: che aspettative ha in termini di ritorno degli investimenti?
“Io investo con una prospettiva decennale. Mi aspetto ritorni entro dieci anni, non prima. Chi pensa di guadagnare in due o tre anni rischia di fare scelte sbagliate, o di bruciare valore. Serve pazienza, visione, capacità di accompagnare le imprese nei momenti complessi. Il mio obiettivo non è uscire velocemente, ma contribuire a costruire aziende solide, sostenibili, capaci di generare valore nel tempo”.
Come vede l’evoluzione del ruolo dell’investitore in Italia?
“Siamo ancora lontani da un ecosistema maturo. In Italia prevale la figura dell’imprenditore-investitore, che investe in progetti personali o in cerchie ristrette. La figura dell’investitore professionale, come si intende negli Stati Uniti – preparato, attivo, coinvolto nella crescita dell’azienda – è ancora troppo rara”, osserva Munari. “Ci sarebbe invece un forte bisogno di investitori con esperienza manageriale, capaci non solo di mettere capitale, ma anche di affiancare le aziende sul piano strategico. Spesso, le startup italiane non hanno bisogno solo di soldi, ma di guida. Di qualcuno che sappia affrontare le fasi critiche, gestire la crescita, evitare errori fatali. Questo è il vero valore che un investitore può portare”.
Vivere e lavorare lontano dalle città ha cambiato il suo modo di pensare il lavoro?
“Assolutamente sì. Oggi riesco a essere molto più selettivo e focalizzato. Ho imparato a dire molti più ‘no’ rispetto al passato, e questo mi permette di dedicare tempo ed energia solo a ciò che ha davvero senso. Vivere in un contesto naturale mi ha restituito una prospettiva più umana sul lavoro, e paradossalmente mi ha reso più efficace. Anche da remoto si può essere presenti, se si ha chiarezza su cosa si vuole costruire”.